La sinfonia della città

di | 11/07/2023

Il sonoro nel cinema non è “semplicemente” una componente necessaria alla narrazione

Un fotogramma di Ballet mécanique

Un fotogramma di Ballet mécanique</em> di Fernand Léger.

Già direttore della pedagogia e dell’azione culturale e della documentazione dell’IRCAM, l’istituto per la ricerca e la coordinazione acustica/musicale di Parigi, Philippe Langlois racconta la storia del rapporto tra immagini in movimento e musica in Les cloches d’Atlantis – Musique électroacoustique et cinéma (Editions MF, Parigi 2022). Intanto chiarisce che il cinema muto in senso stretto non è mai esistito. Già ai tempi delle prime proiezioni l’accompagnamento musicale serviva per prima cosa per coprire il rumore del proiettore e quindi nascondere la componente “meccanica” dell’illusione in atto, e secondariamente per dare al cinema la stessa autorevolezza di altre forme d’arte o di spettacolo che si svolgevano con accompagnamento musicale, come il teatro, compreso quello di prosa.

Il legame tra cinema e suono però è molto più stretto e sostanziale: negli stessi anni in cui si svolgevano i primi esperimenti con le immagini animate, in particolare i primi decenni del Novecento, in ambito musicale molti compositori e molti “inventori” di strumenti musicali esploravano nuove maniere di produrre suoni e le modalità di espressione più adatte, in certi casi notevoli sotto l’impulso di movimenti avanguardistici come il Futurismo.

Uno degli sperimentatori più attivi in questo senso fu Dziga Vertov, noto soprattutto per le sue sperimentazioni sulle immagini in movimento ma che aveva allestito anche un laboratorio di esperimentazioni sonore di cui però non è rimasta traccia se non alcune descrizioni degli esperimenti che vi si svolgevano.

Il legame diretto tra cinema e queste sperimentazioni sonore è duplice: da una parte la produzione stessa del suono che avviene tramite messie puramente meccanici e che si propone di riprodurre il più fedelmente possibile proprio i suoni delle “macchine”; dall’altra la possibilità di creare delle vere e proprie sequenze utilizzando i metodi del montaggio cinematografico che si stavano sviluppando ed affinando proprio in quegli anni, dando vita così ad un vero e proprio genere che poi si sarebbe chiamato musica concreta.