Sui camper dei diseredati nell’America della recessione

di | 26/04/2021

Chi meglio di chi è costretto dagli eventi ad un perpetuo vagabondaggio può aiutarci a capire meglio cosa significa avere una casa, una famiglia, appartenere ad una comunità?

Nomadland

Frances McDormand e Chloé Zhao sul set di Nomadland

Jessica Bruder è una giornalista statunitense che nel 2011 si imbarca in un viaggio di tre anni in camper per investigare su un nuovo fenomeno: quello dei lavoratori stagionali in età da pensione buttati sul lastrico dalla crisi finanziaria dei subprimes del 2008. Questi signori e signore attempati hanno speso i loro ultimi risparmi per comprarsi una roulotte e percorrere gli Stati Uniti da un estremo all’altro alla ricerca di un lavoro. Nel 2014 il viaggio di Jessica Bruder viene pubblicato sulla rivista Harper’s e diventa poi un libro nel 20171. Nello stesso anno Brett Story e l’autrice realizzano un breve documentario, CamperForce2, il cui titolo allude alla politica dei lavori stagionali di Amazon, il cui fondatore e proprietario è uno degli uomini più ricchi del pianeta. Il libro piace molto a Frances McDormand e Peter Spears che ne comprano i diritti cinematografici per poi chiedere a Chloé Zhao di farne un film. Ne viene fuori un’opera a metà tra il documentario e la finzione, con uno sguardo al cinema di denuncia ed ai classici del dopoguerra, uno di quei film che sul momento ti piacciono sans plus, ma che poi crescono col passare dei giorni quando ci ripensi e ne discuti con gli amici. Perché non si tratta solo di un bello e insolito film on the road, ma anche di un viaggio nel tempo e nella storia degli Stati Uniti: è inevitabile che uno dei protagonisti ad un certo punto ricordi di come anche i suoi progenitori abbiano a loro volta dovuto migrare continuamente per guadagnarsi da vivere (nel passaggio sterminando i nativi, ma questa purtroppo è un’altra triste storia). Guardando questo film mi sono chiesto: quanti film sulla Grande Depressione sono stati girati durante la Grande Depressione? E mi sono risposto che in fondo non ne sono stati girati molti, cosa sorprendente se si considera che l’evento sia poi passato alla storia come la crisi per antonomasia. Di questi pochi film ancora meno sono passati alla storia del cinema, come Furore di John Ford3 (tratto dall’omonimo romanzo di John Steinbeck4). Ci deve essere decisamente qualcosa di indicibile e vergognoso nella storia e nelle storie di tutte queste vittime di un’economia così platealmente disumana, quelli che “non ce l’hanno fatta”, e a maggior ragione è ben meritato il leone d’oro alla 77a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ed ora anche l’Oscar per il miglior film.

Il film comincia con un paesaggio di staticità e di morte: sullo sfondo di una città fantasma, coperta da neve e ghiaccio, una giovane vedova, che ha anche perso il lavoro ed è costretta ad abbandonare la propria casa, deve scegliere i pochi oggetti ed indumenti che potrà imbarcare su un camper, che sarà la sua nuova dimora per non si sa quanto tempo. Deve imparare ad adattarsi alla sua nuova condizione di donna sola e povera, e mettersi in marcia per un viaggio che probabilmente non finirà mai. Con questo stato d’animo lo spettatore sin dall’inizio non può più meravigliarsi delle tante cose insolite che si svolgono sotto i suoi occhi: per esempio che una buona percentuale, forse la maggioranza, di questi nuovi nomadi siano donne, e il fatto che per tirare avanti queste donne debbano tirare fuori il loro lato virile passi quasi inosservato, o peggio inevitabile. Ogni riferimento alle epopee western è assolutamente voluto. Bello anche il contrasto tra il piccolo e accogliente mondo dentro il camper e gli spazi immensi e selvaggi dell’America. I suoni d’ambiente si fondono bene con le canzoni country western mentre la musica originale di Ludovico Einaudi, fredda e distante, serve forse ad aumentare il senso di disorientamento e spaesamento.

Il finale, ambiguo ma non troppo, suggerisce perché la McDormand e Spears abbiano scelto Chloé Zhao: nei suoi film precedenti Songs My Brothers Taught Me5 e The Rider – Il sogno di un cowboy6, i protagonisti cercano di non lasciarsi sopraffare dagli eventi e, facendo di necessità virtù, trasformano il loro furore in emancipazione. Era importante in questa epoca di rinunce e fatalismo lanciare un segnale di riscossa, se non collettiva almeno personale, perché poi è sempre da lì che partono tutte le battaglie: alla fine dei conti vagabondare, cioè essere completamente liberi, è una condanna o un premio?

  1. Jessica Bruder, Nomadland: Surviving America in the Twenty-First Century, W. W. Norton & Company, New York 2017; ed. italiana Nomadland, Edizioni Clichy, Firenze 2020  
  2. CamperForce, diretto da Brett Story, USA 2017, 16′  
  3. Furore, titolo originale The Grapes of Wrath, diretto da John Ford, USA 1940, 129′, 20th Century-Fox  
  4. John Steinbeck, Furore, Bompiani, Milano 2013  
  5. Songs My Brothers Taught Me, diretto da Chloé Zhao, Kino Lorber, USA 2015, 98′  
  6. The Rider, diretto da Chloé Zhao, Caviar Highwayman Films, USA 2017, 105′  

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