Berlinale 2014: “Boyhood”, un film lungo 12 anni

di | 12/02/2014

Ottima accoglienza per il film-esperimento di Linklater e per l’atteso thriller introspettivo di Diao Yinan

Boyhood

“Boyhood”

Ultimi film in concorso a Berlino: si comincia con “Bai Ri Yan Huo” di Diao Yinan, thriller malinconico che strizza l’occhio a certi noir europei, in una Cina stretta dal freddo e dal ghiaccio non solo meteorologici. Ancora freddo e ghiaccio in “Aloft” di Claudia Llosa con una brava Jennifer Connelly, melodrammone familiare tra riti new age e natura incontaminata: notevole la sequenza dell’attraversamento del lago ghiacciato. Terzo film cinese in concorso “Wu Ren Qu” di Ning Hao, divertente e spettacolare road movie con ambientazioni decisamente western, un bel minestrone insomma. Habitué della Berlinale, Richard Linklater presenta “Boyhood”, girato nell’arco di 12 anni per seguire le vicende di Mason dalla separazione dei genitori (le stars Patricia Arquette e Ethan Hawke) all’ingresso al college, tra dialoghi serrati e ironia un po’ malinconica. L’inevitabile incoscienza dei bambini e il bisogno di evadere la dura realtà in “Macondo”, opera prima dell’austriaca Sudabeh Mortezai che evita i cliché del film documentario e del melodramma sociale. Chiude la serie dei film in concorso il giapponese “Chiisai Ouchi” di Yoji Yamada.

Nelle sezioni collaterali ancora la Grecia con una storia di violenza e indifferenza in “Na Kathese Ke Na Kitas” di Yorgos Servetas: spiagge abbandonate e officine di rottamazione come efficaci metafore del degrado morale e della fine dei sentimenti. Dopo una pausa di dieci anni, durante i quali si è dedicato principalmente al teatro, Robert Lepage fortunatamente ci ripensa e insieme al talentuoso Pedro Pires realizza un’opera di rara bellezza: “Triptyque”, piccolo capolavoro che avrebbe meritato di figurare tra i film in concorso in cui non si sa se ammirare di più le immagini, la sceneggiatura, la recitazione o la colonna sonora. La regista georgiana Tinatin Kajrishvili indaga in modo originale il bisogno disperato d’amore in “Patardzlebi”, film sobrio e ben recitato con una bella e un po’ surreale sequenza finale.

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