Il mare d’inverno di Ulrich Seidl

di | 11/02/2022

L’impietoso sguardo del regista austriaco sulla miseria umana nel primo film del diptico sulla fraternità

Michael Thomas in una scena di Rimini.

Michael Thomas in una scena di Rimini.

Ulrich Seidl è uno di quei registi che o lo si ama o lo si odia. Comunque tanto di cappello a questo signore che riesce a fare sì che la sequenza più toccante di tutto il film1 sia al tempo stesso la più crudele, anche se lo sapremo solo dopo un bel po’. Nel frattempo io ho creduto davvero a Richie Bravo quando dice alla sua fan attempata Emilia che la ama sinceramente, perché se è vero che lei non è propriamente una sex bomb lui è se possibile ancora più malmesso; ed è vero che ha detto le stesse cose a decine di altre donne per denaro, ma sarà l’ambientazione insolita nell’hotel deserto e senza elettricità, la semplicità di due personaggi, vittima e carnefice, che fanno talmente tenerezza perché contraddicono ogni canone di bellezza fisica, dote intellettuale o integrità morale ma che si amano così come sono, anzi forse proprio per come sono, io sono disposto a credergli davvero. Ho creduto ai suoi toni a metà tra il tenero e il rude, anche se ho avuto ampiamente modo di conoscere le sue doti di seduttore da due soldi perché l’ho sentito cantare le stesse cose con gli stessi toni solo pochi minuti prima in una delle sue tristi e squallide esibizioni canore. E mi sembra quasi impossibile che si sia trattato di un’altra, ennesima truffa. E la cosa più sconcertante è che mi dispiace più per lui che per la sua vittima, forse un altro allarmante caso di empatia con il carnefice, come Alex Delarge2

Con Seidl sappiamo sin dall’inizio che si va sul diretto, senza tanti fronzoli. Ma qui si va oltre la semplice e banale rudezza di un uomo disilluso: la disarmante viltà di Richie è la rappresentazione della bassezza, della crudeltà più subdola, della cattiveria dei deboli. Perché in fondo Richie è una simpatica canaglia, introdotto da una scena toccante in cui è sinceramente commosso per la dipartita dell’adorata madre. A cui si può anche credere quando si scusa per l’assenza verso sua figlia e cerca di giustificarsi. Per colmo dell’ironia il film è ambientato in un inverno grigio e nebbioso proprio nella città italiana che più di ogni altra viene visitata solo d’estate, e che d’inverno è invece rifugio di comitive di pensionati che non hanno di meglio da fare e di artisti ben oltre il viale del tramonto. Quindi un film a colori ma come se fosse in bianco e nero, con gli hotel kitsch della riviera riminese che nelle loro architetture e decorazioni ricordano stranamente proprio le onornze funebri, come se tutti fossero già nelle loro bare. E infatti intorno si aggirano immigrati silenziosi e discreti, incappucciati come dei monaci penitenti.

  1. Rimini, regìa di Ulrich Seidl, Austria-Francia-Germania, 114′  
  2. Alex Delarge è il personaggio principale di Arancia Meccanica (A Clockwork Orange, regìa di Stanley Kubrick, Regno Unito-USA 1972, 136’).  

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