Affari di famiglia

di | 21/02/2023

Conflitti generazionali, carrozzoni di marionette e un compleanno che forse sarà l’ultimo: alla Berlinale molteplici scene di vita familiare

Anabela Moreira in una immagine di Mal viver di João Canijo.

Anabela Moreira in una immagine di Mal viver di João Canijo.

Una festa di compleanno per un uomo giovane gravemente ammalato, forse ad uno stadio terminale: in Tótem di Lila Avilés, nella competizione internazionale, si celebrano la vita e la morte, l’amore e l’amicizia, e il ciclo, gioiosamente caotico, delle giovani generazioni che imparano e prendono il posto dei loro genitori. Anche in Le Grand Chariot si celebra una saga familiare, questa volta di artisti di marionette in cui Philippe Garrel arruola tutta la famiglia: il già noto figlio Louis e le sue due sorelle Esther e Lena, in un ritratto crepuscolare e che dietro un’apparenza di indulgenza per un modo di fare arte desueto celebra in realtà la tenacia, a volte disperata, di chi crede nel potere salvifico dell’arte. Un altro veterano del cinema francese, questa volta documentaristico, Nicolas Philibert con il suo Sur l’Adamant ci conduce attraverso impressionanti riflessioni non solo sul malessere dovuto alla malattia psichiatrica ma soprattutto sulla vita in generale, e forse proprio per questo con una vaga e spiacevole sensazione che, anche se gli ospiti della struttura galleggiante sono consapevoli di essere ripresi, qua e là si indulga nel voyeurismo. Nella tradizione della Sehnsucht1 dei tedeschi per il sud, in Music Angela Schanelec si ispira al mito di Edipo re, con tanto di morti più o meno accidentali, amori complicati, storie di vita che si intrecciano, momenti di contemplazione dove i personaggi rimangono fissi e immobili alla Andersson, e c’è pure il coro, nella forma di brani del miglior rinascimento europeo e canzoni del peggior pop radical-chic. 20.000 especies de abejas Estibaliz Urresola Solaguren. João Canijo deve essere stato molto contento di sapere che ben due suoi film erano stati selezionati alla Berlinale di quest’anno: Mal Viver in concorso (tra l’altro l’unico film a non aver ricevuto nessun applauso al termine della proiezione per la stampa), e Viver Mal in Panorama, entrambi ambientati nello stesso luogo e nello stesso tempo ma visti da punti di vista differenti. Molti elementi ricordano il cinema di Bergman: il ruolo centrale delle donne, la recitazione teatrale ma in una messa in scena inequivocabilmente cinematografica, l’estrema cura nella messa in scena, il lavoro meticoloso su luci e colori; e non ultimo la sospensione dello spazio e del tempo: siamo nel Portogallo contemporaneo ma questo albergo potrebbe essere sperduto in qualunque luogo; e l’arredamento e soprattutto le illuminazioni alludono a epoche anche molto lontane dalla nostra. Tre donne, tre generazioni: nonna, madre e figlia che si dimenano tra accessi di rabbia e slanci di tenerezza; mentre altre due donne rivestono il ruolo di mediatrici: la zia e la cameriera, anche loro su un equilibrio molto instabile. Canijo lavora molto sui riflessi, sulle trasparenze degli ambienti tra ampie vetrate e una piscina: nonna, madre, figlia si guardano, a disagio perché forse vedono qualcosa di se’ che non gli piace nelle altre.

Nella sezione Forum si torna sul tema della follia ma in tutt’altra forma e con risultati molto più inquietanti: in Anqa Helin Çelik mostra un esempio estremo dei (tanti?) casi in cui la follia è una forma di fuga per la vittima e di rimozione per la società. Atmosfere più rilassate in un altro bel film portoghese, Cidade Rabat di Susana Nobre, dove ancora una volta eventi inaspettati sono forse il pretesto per un cambiamento radicale. Il viaggio a Hollywood in piena pandemia del francese Vincent Dieutre diventa una riflessione sull’evolversi delle relazioni umane: in This is the End parole, corpi e ricordi compongono un diario dove la malinconia si esprime sorprendentemente attraverso luci piene e ritmi spesso frenetici.

Nella sezione Berlinale Special qualche brivido con Talk to me di Danny and Michael Philippou: finalmente un horror che fa paura (almeno a me), senza grandi sorprese ma con una bella riflessione riguardo al visibile e all’invisibile nei tempi degli smartphone in cui tutti riprendono tutto ogni istante e lo diffondono immediatamente su tutto il pianeta. Anche qui un paio di citazioni, questa volta dallo spielberghiano Poltergeist, dove invece che del televisore indovinate un po’ da dove vengono questa volta gli spiriti inquieti…

  1. anelito verso qualcosa di irraggiungibile.  

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