L’eterno dilemma sulla liceità di estetizzare la sofferenza, la distruzione e la morte in un instant movie?
Per qualche motivo che ignoro, ma che probabilmente ha a che fare con il trailer, che comunque ho evitato accuratamente di vedere come ormai faccio per tutti i film, Civil War1 di Alex Garland si è fatto una nomea di blockbuster. Ed è un peccato perché il film pone domande non banali sul labile confine tra diritto di cronaca e voyeurismo, ed in maniera ancora più cogente sul paradosso di fare arte utilizzando immagini di morte e sofferenza. Per non parlare del tema del film: una nuova guerra civile americana che, dopo l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 ed il clima sempre più fazioso in preparazione delle prossime elezioni presidenziali, non è più un’ipotesi da fanatici complottisti.
Come (mi) capita sempre più spesso da qualche anno a questa parte, è ormai con molta inquietudine che vado a vedere film come questo presentati come “distopici”, che prefigurano quindi un futuro catastrofico secondo la definizione, ma che sembrano descrivere con sempre più esattezza il nostro presente. Siamo qui ben lontani dall’umorismo nero e dalla satira di film come La seconda guerra civile americana2. E forse è utile cominciare con l’ultima immagine, che sintetizza questi due elementi: i soldati ribelli che posano sorridenti accanto al cadavere del presidente che hanno appena assassinato. Si tratta di un’immagine che rimanda all’estetica di un passato che credevamo sepolto, in cui i tutori dell’ordine si facevano ritrarre accanto ai corpi dei banditi che avevano appena eliminato: metafora forse fin troppo esplicita di un imbarbarimento in pieno riflusso. Ma più che l’immagine in sé è la modalità in cui viene mostrata ad avere forza: l’immagine emerge lentamente da un fondo bianco, esattamente come avveniva ai tempi della fotografia analogica, in cui il processo di sviluppo prendeva del tempo. Questa lentezza da un lato ci ricorda che anche nel giornalismo dei tempi di internet e dei cosiddetti social media il fatto di mostrare determinate immagini risponde a scelte morali ed estetiche precise; dall’altro è un monito a fermarsi ed a considerare la situazione attuale, gli eventi che l’hanno provocata e le possibili conseguenze in un futuro non troppo lontano se non si cambia immediatamente direzione.
Come per il dilemma sull’uso della violenza per risolvere i conflitti, sembra che ci siano situazioni in cui non si possono conciliare umanità, solidarietà, dirittura morale, rigore estetico. E si tratta di dilemmi che rimontano alle origini della nostra civiltà: ricordo la foto della statua del galata morente3 sul mio libro di storia (o di storia dell’arte..?) del liceo: mi affascinava non solo il soggetto ma soprattutto il fatto che già l’artista si fosse posto il problema di fare qualcosa di “bello” ritraendo un essere umano che muore. Pare che l’opera fosse stata commissionata per celebrare la vittoria di Pergamo sui galati, che quindi dovevano essere ritratti come avversari temibili e valorosi, ma l’artista ha deciso di mostrare l’estrema vulnerabilità del soldato nemico ferito e sconfitto invece che ritrarre la foga dei combattimenti, quando evidentemente non c’è tempo per porsi domande filosofiche. Immediatezza e vulnerabilità: quindi, a parte l’inquietante attualità del tema, quale migliore scelta che una guerra civile nel Paese che si attribuisce il ruolo di faro dell’umanità? E di una donna come protagonista? Come in ogni film di guerra che si rispetti ci sono molti momenti di altissima tensione, come quello insopportabile in cui i nostri sono sotto il tiro del suprematista dagli occhiali rossi, ma quello più sottilmente rivelatore si svolge alla fine, quando la nostra eroina Lee, una ineccepibile Kirsten Dunst, muore ben poco gloriosamente nell’ultimo assalto alla stanza ovale: è il momento in cui avviene il passaggio simbolico del testimone alla sua giovane allieva Jessie (Cailee Spaeny), il cui sguardo sembra esprimere più sorpresa che orrore: mantenere il sangue freddo, quindi mostrare il proprio lato più cinico, è il prezzo da pagare per compiere fino in fondo il proprio dovere?
- Civil War, regìa di Alex Garland, Regno Unito-USA 2024, 109′
- La seconda guerra civile americana, titolo originale The Second Civil War, regìa di Joe Dante, USA 1997, 98′
- Il galata morente è una copia romana di una scultura di epoca ellenistica. Attribuita allo scultore Epigono, autore del Donario di Attalo nella città di Pergamo, è un monumento composto da diverse statue bronzee raffiguranti Galati, databile al 230-220 a.C. circa.