Afghanistan (e USA) anno zero

di | 02/07/2024

In una anonima località sperduta nella provincia statunitense i reduci dall’ennesima guerra umanitaria cercano di ricostruirsi un’esistenza

Anaita Wali Zada in una scena di Fremont di Babak Jalali.

Anaita Wali Zada in una scena di Fremont di Babak Jalali.

Il giorno e la notte, la realtà e il sogno, il passato e il presente, il bianco e il nero: Babak Jalali affronta il tema dei traumi dei profughi dall’Afghanistan utilizzando nella prima parte del film una fotografia netta, un montaggio rigoroso, una successione di eventi schematica. Superare i traumi della guerra, ricostruirsi una vita in un altro paese richiede ordine e rigore, disciplina e metodo. Ci vuole però spazio anche per il sogno, forse anche per l’inatteso, che può prendere la forma di uno psicologo che si scioglie in lacrime e un incontro galante imprevisto. Nella seconda parte del film invece la fotografia si distende, lasciando spazio a sfumature più sottili, la narrazione ed il montaggio si rilassano e c’è anche spazio per momenti surreali. A fare da ponte tra queste due parti i momenti nella piccola fabbrica dei fortune cookies: una attività commerciale non a caso tenuta da un asiatico da cui ci si aspetta un atteggiamento puramente utilitaristico e che invece dimostra una sensibilità e una umanità così lontane dall’arido mercantilismo occidentale.

Con Fremont1 Jalali continua la sua riflessione sugli effetti delle guerre che ormai da decenni affliggono la sua regione di origine, e sulle inevitabili conseguenze sull’identità dei protagonisti e gli shock culturali di incontri, o per meglio dire scontri, di civilità forzate a convivere. Collabora alla sceneggiatura Carolina Cavalli, anche qui un incontro apparentemente inatteso ma probabilmente determinante nella definizione della psicologia della protagonista, una donna colta e consapevole del proprio valore e quindi decisa a difendere la propria autonomia.

  1. Fremont, regìa di Babak Jalali, USA 2023, 92′