Rimettersi in gioco in un mondo esso stesso in piena trasformazione: al via la 55a edizione di Visions du Réel
Visions du Réel compie 55 anni, l’età in cui tipicamente si comincia a fare un bilancio della propria vita. E mentre l’équipe del festival non può che essere contenta dell’ottimo livello delle opere presentate in tutti questi anni, Rogier Kappers con il suo Glass, My Unfulfilled Life, presentato ieri nella serata di preapertura, sembra anche lui soddisfatto della non facile scelta di cambiare completamente la propria vita a cinquanta anni passati. Kappers sceglie di mostrare il lato surreale, a volte chiaramente comico, di molte situazioni, ma questo tocco leggero è controbilanciato dalla fragilità, metaforica e reale, della sua condizione, rappresentata esplicitamente dai bicchieri di vetro che, contro ogni aspettativa, sopravvivono perfino alle rudi manovre di caricamento nella stiva di un aereo per Dubai. Ed è tempo di bilanci e scelte anche per la piccola comunità di Mandø, isola danese accessibile via terra solo con la bassa marea, e le cui fattorie sono sempre più spesso inondate a causa dei cambiamenti climatici in corso: per la proiezione speciale nella cerimonia di apertura è stato scelto l’ottimo As the Tide Comes In (Før stormen) di Juan Palacios e Sofie Husum Johannesen (co-regista). Il tenero Gregers, il più giovane abitante dei 27 ultimi residenti, prova a cercare l’anima gemella grazie ad una trasmissione televisiva, mentre i veterani, all’arrivo delle sempre più frequenti e violente tempeste, guardano all’orizzonte e dicono con tono rassicurante: “è solo un po’ di vento”.
Nella Doc Alliance Selection nel cortometraggio Grandmamauntsistercat Zuza Banasińska scava negli archivi dei film educativi, li monta con verve, ironia e rigore, ed ottiene una rassegna della scientificità delle tesi a sostegno della segregazione delle donne dagli esiti tragicamente ridicoli: perché se è vero che molta strada è stata fatta per l’emancipazione delle donne, la domanda è se per caso ancora oggi siamo vittime (più o meno) inconsapevoli di dogmi spacciati per verità scientifiche. Segue il lungometraggio The Gate di Jasmin Herold e Michael David Beamish, inquietante analisi del nostro rapporto alla violenza istituzionale: che si tratti degli abitanti di un villaggio a prossimità di una base militare i cui scopi sono coperti da rigoroso segreto, del cappellano militare o dei familiari di un soldato misteriosamente scomparso tutti sembrano accettare come necessaria una istituzione, le forze armate, a cui viene delegata la violenza collettiva.