La memoria dell’acqua

di | 08/02/2015

Un film metafisico per rappresentare la lotta millenaria di un popolo contro una natura ostile e efferati genocidi

Una scena di "El boton de nácar"

Una scena di “El boton de nácar”

Dopo “Nostalgia de la luz” con i suoi ampi spazi aerei, il cileno Patrizio Guzmán continua la sua ricerca sulle vicende umane, la memoria e l’assoluto con un film complesso ed emozionante, in bilico tra poesia e documentario. Il rischio maggiore, dato il tema del film, era quello di farsi sopraffare dal punto di vista politico ma Guzmán dimostra di saperlo gestire restando al di qua della retorica e della mera, per quanto pienamente giustificata, denuncia.

Mentre nel film precedente le distese del deserto del nord erano pervase da luci intense e dirette, qui predominano luci sature, frutto di un cielo greve e dell’onnipresente acqua. La geografia stessa del Cile, paese che confina prevalentemente con il mare, ispira gli elementi formali del film: la presenza costante dell’oceano, con la sua natura cangiante, e la solidità della terra. Su questo impianto si innesta il tema portante del film: l’ambivalenza dell’acqua, al tempo stesso messaggero arcaico del cosmo e tragico testimone dei crimini della dittatura. Suggestivo il cenno alla leggenda indigena secondo cui i morti si trasformano in stelle: l’immagine mentale del ciclo infinito si materializza nelle immagini del rapporto tra un popolo antichissimo e condizioni (naturali e politico-sociali) estreme. L’acqua che è origine ma anche movimento, elemento che scorre e cambia, memoria di un passato primigenio ma al tempo stesso testimone, fotografia di fatti, voce ineludibile che denuncia delitti contro interi popoli e aspirazioni alla libertà. Il bottone di madreperla, nella sua semplicità, è l’elemento di connessione tra questi e tanti altri spunti. Attraverso un montaggio sofisticato che oscilla tra l’infinità dell’universo e l’insignificante finitezza di una goccia d’acqua, sull’abisso tra eventi di un passato remoto ed un futuro incerto, il film alterna efficacemente immagini ipnotiche e inserti documentaristici.

Guzmán si avvale di alcuni testimoni per inquadrare fatti e sensazioni di una terra per molti sconosciuta e sorprendente: il musicologo Claudio Mercado con il quale scopriamo una cultura musicale molto sofisticata; Christina Calderon, una degli ultimi discendenti degli Yagán; e l’artista Emma Malig, con un’installazione ispirata alla sua terra e al suo popolo.

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