Per capire cosa ci aspetta la fantascienza non deve più guardare al futuro ma al passato?
Con Bruno Dumont si va tranquilli: non si sa che cosa succederà, ma di certo non ci si annoierà. Il che non significa che piaccia a tutti, al contrario: durante la proiezione per la stampa di L’impero1 alla Berlinale, qualcuno è anche uscito, ed alla fine della proiezione c’è stato anche qualche fischio. Il film invece è piaciuto molto alla giuria presieduta da Lupita Nyong‘o che gli ha attribuito l’orso d’argento. Dopo gli sciamani di Hors Satan2 e la giornalista di successo di France3, stavolta è nientemeno che la lotta cosmica tra il bene e il male con astronavi dalla forma di cattedrali gotiche e palazzi reali che approdano sulle spiagge di un villaggio di pescatori, con tocchi di fantasy medievale per non farsi mancare nulla, e soprattutto per prendere atto che se fino a qualche decennio fa la fantascienza era soprattutto una metafora del futuro, oggi ci mostra soprattutto quanto stiamo tornando indietro in termini di libertà civili ed espressione della democrazia. Queste astronavi patchwork ricordano anche certe creazioni del software generativo (impropriamente chiamato “intelligenza artificiale”) e chissà se Dumont per crearle non si sia divertito a dare al software istruzioni del tipo “astronavi dei buoni e dei cattivi”, per togliere ogni dubbio a chi ancora pensa che questi strumenti siano in grado di creare qualche cosa di nuovo.
L’aspetto mistico-religioso di tanta fantascienza dagli anni settanta in poi, in particolare nel ciclo lucasiano di Guerre Stellari 4ma anche il Dune 5di David Lynch, è sempre stato molto presente in tutta la produzione cinemtaografica fino ai giorni nostri, ma Dumont questa volta lo esplicita con una simbologia strettamente terrestre: non più eroici jedi contro il lato oscuro di una generica forza, o la ricerca di una spezia miracolosa ma chiese cristiane medievali contro palazzi di ostentata ricchezza. La novità semmai è l’inclusione del desiderio carnale di cui comunque sono vittime i combattenti dei ranghi più bassi della gerarchia, i capi troppo presi dal loro delirio di onnipotenza.
Un Fabrice Luchini perfettamente a suo agio nel cattivissimo di turno e le abituali macchiette della provincia francese (stavolta siamo in Bretagna), con il comandante Van der Weyden e il suo luogotenente di tatiana memoria, tra effetti speciali all’ultimo grido e l’abituale perfetta direzione degli attori: in quest’epoca di lotta tra civilità e religioni Dumont aggiorna Il dottor Stranamore6 e prende talmente sul serio l’estetica della fantascienza e l’iconografia delle istituzioni civili e religiose che l’umorismo (in)volontario non può che erompere fragorosamente.
- L’impero, titolo otiginale L’Empire, regìa di Bruno Dumont, Francia-Germania-Italia-Belgio-Portogallo 2024, 111′
- Hors Satan, regìa di Bruno Dumont, Francia 2011, 110′
- France, regìa di Bruno Dumont, Francia-Italia-Germania-Belgio 2021, 134′
- Guerre Stellari, titolo originale Star Wars, regìa di George Lucas, USA 1977, 121′
- Dune, regìa di David Lynch, USA 1984, 137′
- Il dottor Stranamore, titolo originale Doctor Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb, regìa di Stanley Kubrick, Regno Unito-USA 1964, 94′